Perché Facebook e Twitter alimentano l’aggressività? Analisi di una società narcisistica digitale

Perché Facebook e Twitter alimentano l’aggressività? Analisi di una società narcisistica digitale

You-n agenzia comunicazione

Ogni giorno quello che scegli, quello che pensi e quello che fai è ciò che diventi” (Eraclito)

Non è affatto una novità o qualcosa di cui stupirsi: aggressività, violenza verbale, maleducazione sono le principali caratteristiche del trend comportamentale adottato sui Social Network e tra i problemi più ingrati da gestire per Social Media e Community Manager.

Facebook e Twitter sono immensi raccoglitori e generatori di lamentele, negatività e turpiloquio. A quanto sembra sono gli ambienti migliori per dare sfogo al peggio … paradossalmente insieme alla mania del mettersi in mostra con i #selfie.

Il bello e il brutto … le due facce della stessa medaglia … luci e ombre … yin e yang … in qualsiasi modo vogliate chiamarlo, è bene saper gestire le proprie emozioni negative.

Partendo dal presupposto che esistono argomenti che, per loro stessa natura, si prestano di più alla discussione, perché possono stimolare differenza e divergenza di opinioni (come ad esempio temi di importanza generale come politica, religione, scuola o lavoro), si rimane molto amareggiati davanti alla violenza verbale che post innocui hanno involontariamente il potere di generare.

Ecco un piccolo assaggio di ciò di cui stiamo parlando.

Nota: alcuni dei commenti variopinti che citiamo sono stati ispirati dal lancio di uno spot pubblicitario. Altri no, semplici esempi di vita quotidiana … a volte simpatici, altre spesso molto meno.

Oppure …

Un bel quadretto, vero? Questo è zucchero!

Alzi la mano chi non si è mai imbattuto in lamentele, sproloqui e bestemmie. La domanda legittima è: perché tutta questa aggressività virtuale? Qual è il vero problema?

Proviamo a rispondere nel modo più esaustivo e coinciso possibile.

Per loro stessa natura le relazioni sociali virtuali, grazie alla mancanza di conoscenza diretta, permettono la caduta libera dei freni inibitori, favorendo spavalderia, spudoratezza, villania. Illusoriamente, chi si trincera dietro uno schermo, sia esso di computer, tablet o smartphone, percepisce un’aumentata sicurezza personale (qualcuno si sente addirittura onnipotente) che lo induce ad arrogarsi il diritto e il dovere di poter dire qualsiasi cosa, senza curarsi delle conseguenze per sé e per gli altri.

Andando più a fondo, rileviamo un ulteriore risultato per niente positivo: Facebook, molto più di Twitter, mina inconsapevolmente l’autostima, perché crea una specie di filtro psicologico attraverso il quale ci si mostra agli altri. Tendenzialmente l’immagine che si vuole dare è sempre la migliore, la più positiva, ma spesso poco autentica e molto artificiosa.

In queste relazioni anonime è più normale che rabbia, frustrazione e sofferenza vengano fuori senza troppi ostacoli e in tutta la loro esplosività. Bisogna mettere in conto anche un bel numero di fraintendimenti, dati dalla conversazione scritta e non vissuta in carne ed ossa. Inevitabilmente questi sono i rischi del gioco.

L’era che stiamo vivendo è quella della rivoluzione digitale e i Social Network rappresentano il più chiaro esempio di come si stanno trasformando il modo di pensare degli individui e le abitudini relazionali. Assistiamo, inoltre, a una profonda evoluzione della responsabilità, oggi sempre più evanescente, perché slegata dal corporeo e, pertanto, percepita erroneamente come non più necessaria. Dal momento in cui i referenti educativi hanno subito un sì forte indebolimento, ciò che prima era importante, adesso forse non lo è più.

In altre parole, l’educazione al web è una necessità moderna.

Noi siamo quello che diciamo e il modo in cui parliamo è la rappresentazione del mondo in cui viviamo. Questo è il concetto alla base della Teoria della relatività linguistica Safir-Whorf, secondo la quale le forme del linguaggio permeano, modificano e plasmano le forme del pensiero.

Il linguaggio e il modo di rapportarci agli altri che mostriamo sui Social Network sono la rappresentazione virtuale di noi stessi e di come concepiamo la vita. In positivo o in negativo, nessuno ci impone nulla: è solo il frutto di una libera scelta personale.

Parafrasando un vecchio adagio, ci piace pensare che “il linguaggio è lo specchio dell’anima“. Proviamo a vederla così: se il nostro vocabolario personale contiene in tutto 100 lemmi, il nostro mondo interiore (inclusa la nostra capacità di decifrare la realtà e viverla) sarà direttamente proporzionale ad esso. E se invece avessimo un vocabolario personale di 100.000 di lemmi? Riuscite ad immaginate come potrebbe essere? Potrebbe essere un universo sconfinato di possibilità? Con ogni probabilità sì.

Ogni contesto ha il suo specifico linguaggio, non potrebbe essere altrimenti, e anche quello dei Social Network ne ha uno tutto suo: diretto, spontaneo e colloquiale.
Attenzione: tutto questo non è sinonimo di arrogante e irrispettoso. E soprattutto, essere maleducati non lo è di sincerità.

In fondo, però, dipende solo da noi. Bisogna ricordarsi che essere migliori si può. Mark Twain sosteneva che “la gentilezza è il linguaggio che il sordo può sentire e il cieco può vedere”.

Siete d’accordo?

Prossimamente alcuni consigli su come gestire queste situazioni di crisi.

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